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Casa circondariale di Paola. “Suicidio di un detenuto”. L’intervento del Sappe: “Non si può fare finta di nulla”

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Interviene il sindacato Sappe sul caso del giovane suicidatosi ieri, domenica 30 giugno, nella Casa circondariale di Paola. Ancora una volta si chiede alla politica, soprattutto a quella regionale, di non stare con le mani in mano, ma di attuare un piano di interventi per garantire migliori condizioni di vita e di lavoro per detenuti e per agenti penitenziari.

Il comunicato stampa del Sappe

È stata una serata triste quella trascorsa ieri nella Casa circondariale di Paola, segnata da un nuovo suicidio in carcere. Su quanto avvenuto riferiscono Salvatore Panaro e Gerardo Coscarella, segretari del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: “Ieri sera, verso le 21, un detenuto italiano, originario della provincia di Salerno e da poco in carcere, si è suicidato mediante impiccamento con un lenzuolo annodato alla porta interna della cella in cui era ristretto da solo. La Polizia Penitenziaria ha attuato i protocolli per i soccorsi facendo intervenire prima i sanitari del carcere e poi chiamando il 118, ma i sanitari del medesimo pronto intervento hanno potuto solo costatare il decesso”. “Come sindacato maggiormente rappresentativo del personale di Polizia Penitenziaria”, evidenziano i sindacalisti, “ribadiamo con forza la nostra convinzione che sia necessario un urgente, concreto ed efficace intervento del Governo, della Regione Calabria e di tutte le altre istituzioni locali volto a migliorare le condizioni di vita all’interno dei penitenziari del Paese. La politica non può continuare a rimanere silente dinnanzi alle continue aggressioni al personale ed al crescente numero di suicidi tra i detenuti. Occorre che lo Stato ridisegni in un certo senso l’intero sistema di gestione delle pene, prevedendo il carcere per i soli soggetti nei confronti dei quali hanno fallito tutte le altre alternative di recupero e reinserimento sociale, abbattendo così efficacemente il fenomeno del sovraffolamento e, contemporaneamente, riducendo le tensioni che gravano quotidianamente sull’operato della Polizia Penitenziaria”. Per il SAPPE, “vanno inoltre potenziate le attività trattamentali all’interno delle carceri, prevedendo l’implementazione dell’offerta di lavoro ai detenuti e, contestualmente, avviare nuove assunzioni di personale delle figure professionali umanistiche come psichiatri e psicologi al fine di intercettare in tempo i disagi e le debolezze che possono sfociare in agiti impropri ed irreparabili”.

Il Segretario Generale SAPPE Donato Capece richiama un pronunciamento del Comitato nazionale per la Bioetica che ha sottolineato come “il suicidio di un detenuto costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Ma per qualcuno è stato evidentemente più facile fare eleggere al Parlamento europeo solamente una delle migliaia di persone italiane detenute all’esterno, non si sa bene scelto in base a quali meriti, ed avere così l’alibi di poter dire di occuparsi dei problemi del carcere…”. Il leader nazionale del SAPPE è lapidario nella denuncia: “Il fatto che siano molti detenuti che si tolgono la vita in carcere (ma anche poliziotti penitenziari…) devono fare seriamente riflettere. Sono vittime innocenti di un disagio individuale a cui non si riesce a fare fronte nonostante gli sforzi e l’impegno degli operatori, in primis le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che il carcere lo vivono nelle sezioni detentive”.

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